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Boom di nidi di tartarughe marine in Italia: cosa sta succedendo

Quest'anno c'è stato un altro boom di nidi di tartarughe Caretta caretta in Italia ma il fenomeno non è da leggere solo in chiave positiva

Pubblicato:

Martina Bressan

Martina Bressan

SEO copywriter e Web Content Editor

Appassionata di viaggi, di trail running e di yoga, ama scoprire nuovi posti e nuove culture. Curiosa, determinata e intraprendente adora leggere ma soprattutto scrivere.

Dalla Liguria alla Sicilia, l’estate italiana è stata segnata anche quest’anno da un fenomeno straordinario: il boom di nidificazioni della tartaruga Caretta caretta lungo i litorali. Migliaia di bagnanti hanno potuto assistere, spesso per la prima volta, alla schiusa dei piccoli che, dopo aver rotto il guscio, corrono verso il mare. Un evento emozionante che, però, porta con sé anche sfide e preoccupazioni.

Il boom di tartarughe Caretta caretta

Secondo quanto riporta ‘La Repubblica’, oltre 600 nidi sono stati registrati e protetti solo nel 2025 grazie al progetto europeo Life Turtlenest, coordinato da Legambiente, che ha coinvolto associazioni, volontari ed enti locali. Un dato record che, a prima vista, potrebbe sembrare un segnale incoraggiante per la biodiversità dei nostri mari.

Dietro questa apparente “buona notizia”, infatti, si nascondono fattori meno rassicuranti, in particolare il cambiamento climatico e la pressione crescente del turismo sulle spiagge italiane. La Caretta caretta è l’unica specie di tartaruga marina che nidifica regolarmente nel Mediterraneo. Fino a qualche anno fa i suoi siti principali erano concentrati in Grecia, Turchia, Cipro e Israele, con rare segnalazioni in Italia.

Oggi, invece, le coste della penisola ospitano sempre più nidi, complice l’aumento delle temperature del mare e della sabbia. Secondo i dati raccolti dal Turtle Point della Stazione Zoologica Anton Dohrn, nel 2024 si erano registrati 331 nidi, mentre quest’anno la cifra ha superato ampiamente le previsioni. Come già accennato, però, questo dato non è da leggere solo in positivo.

L’innalzamento della temperatura del Mediterraneo ha spinto le tartarughe a colonizzare zone più a nord. Questo fenomeno, se da un lato aumenta la distribuzione geografica della specie, dall’altro è indice di uno squilibrio climatico sempre più marcato. Le nostre spiagge, inoltre, sempre più affollate da bagnanti e stabilimenti balneari, spesso non offrono spazi tranquilli per la deposizione delle uova.

Specie aliene e futuro dell’ecosistema marino italiano

L’innalzamento delle temperature non ha portato cambiamenti solo alle tartarughe Caretta caretta. I mari italiani ospitano, infatti, sempre più specie aliene a discapito di quelle locali. Gamberi, granchi e pesci provenienti da altri ecosistemi si stanno insediando stabilmente nelle acque italiane, alterando gli equilibri naturali e mettendo a rischio la biodiversità autoctona. A favorire questo processo contribuiscono diversi fattori, tra cui il cambiamento climatico e il riscaldamento delle acque.

Alcune di queste presenze sono ormai note da tempo, come il granchio blu, diventato una minaccia concreta per i pescatori italiani. Altre specie, invece, sono arrivate di recente, suscitando allarme tra esperti e associazioni ambientaliste. Il WWF ha ribadito come la crescita costante degli organismi alieni stia mettendo ulteriormente in pericolo molte specie locali già in difficoltà.

La situazione riguarda non solo i mari ma anche fiumi e laghi italiani: secondo il ‘Corriere della Sera’, su 15 specie di crostacei censite nelle acque interne, quasi la metà risulta alloctona, mentre oltre il 60% dei pesci non è originario del nostro territorio. Tra questi ci sono il gigantesco siluro e la gambusia, introdotta in passato per contenere le zanzare.

Negli ultimi anni sono comparse anche nuove specie invasive come la vongola cinese (Sinanodonta woodiana), altamente riproduttiva e in grado di colonizzare rapidamente gli ambienti, e la noce di mare (Mnemiopsis leidyi), osservata per la prima volta in Sardegna nel 2015. Quest’ultima, pur innocua per l’uomo, è devastante per gli ecosistemi: nel Mar Nero aveva già causato il crollo delle popolazioni di acciughe.