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Alfonso Signorini e la frase sui Veneti: “Non sono buoni amanti”

Alfonso Signorini, durante un'intervista per l'uscita del suo nuovo romanzo "Amami quanto io t’amo", ha detto dei veneti: “Non sono buoni amanti”

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Martina Bressan

Martina Bressan

SEO copywriter e Web Content Editor

Appassionata di viaggi, di trail running e di yoga, ama scoprire nuovi posti e nuove culture. Curiosa, determinata e intraprendente adora leggere ma soprattutto scrivere.

Alfonso Signorini e

Alfonso Signorini, giornalista, conduttore e direttore della rivista Chi, è in questi giorni al centro dell’attenzione. A renderlo protagonista non è il gossip o un nuovo programma TV, ma la pubblicazione del suo nuovo romanzo “Amami quanto io t’amo”, titolo ispirato a un verso della Traviata. La storia del romanzo è ambientata a Treviso e in altre città venete e proprio durante un’intervista sulla sua ultima opera Signorini ha detto dei veneti “non sono buoni amanti”.

 La frase di Alfonso Signorini sui veneti

Il nuovo libro di Alfonso Signorini “Amami quanto io t’amo”, edito da Mondadori, arriva in libreria dal 3 dicembre. La presentazione ufficiale, infatti, avverrà proprio quel giorno presso la Rizzoli di Galleria Vittorio Emanuele II a Milano. Gran parte della storia del romanzo è ambientata a Treviso, una delle città della regione veneta che la BBC ha definito come ottima alternativa a Venezia. Un territorio che Signorini conosce bene e che ha deciso di adottare come ambientazione della sua nuova storia, fatta di sentimenti e contrasti sociali.

Proprio nel corso di un’intervista al ‘Corriere della Sera’, Signorini spiega che nella sua opera si racconta di un amore ostacolato dai pregiudizi. Alla domanda se Treviso gli avesse “spezzato il cuore”, risponde ridendo: “I veneti purtroppo non sono buoni amanti”. Signorini precisa poi di avere avuto in passato una sola storia d’amore con una persona veneta. Ma l’esperienza è finita più per divergenze caratteriali che per altro: “Era una mentalità un po’ chiusa.”

Spiega di aver scelto Treviso, città che conosce bene, dato che ha casa in Veneto, a Cortina, e molti dei suoi amici sono trevigiani. È stato più volte in città, inoltre, per scrivere il libro è stato a Treviso per diverse settimane e così ha avuto modo di visitare anche i dintorni. Signorini racconta sempre al ‘Corriere’: “Conosco molto bene la città, perché ho casa a Cortina e tanti amici o sono trevigiani o lo sono diventati. […] E per scrivere ho vissuto a Treviso in incognito un mese e mezzo. Alloggiavo in una pensioncina: loro sapevano ovviamente chi ero, ma è stato bello. La sera mi piaceva camminare lungo i canali, sono stato a fare la spesa al mercato di San Liberale, mi sono divertito a conoscere le campagne, Asolo, Castelfranco, Vittorio Veneto”.

Signorini e la sua idea di “provincia”

Nonostante la battuta iniziale sui veneti, quando Signorini parla di Treviso lo fa con profonda conoscenza del territorio, della cultura e delle tradizioni. Treviso, in questa storia, diventa simbolo di una provincia elegante, ordinata, ma anche di un luogo con molti pregiudizi. Alvise, protagonista del romanzo, nasce in una famiglia facoltosa, vive nella splendida villa Acero Rosso.

In un ambiente diverso, invece, nasce Leonardo, ragazzo cresciuto nelle case popolari di San Liberale. Due mondi lontani, quasi incompatibili, che però si incontrano grazie a un gesto improvviso: Leonardo salva Alvise da un incidente e tra i due nasce un’amicizia più forte delle differenze sociali. È un legame che sfida i pregiudizi di molti e la loro amicizia diventa il cuore stesso del romanzo.

Nel romanzo, Treviso diviene così l’esempio di una vita provinciale e sempre sul ‘Corriere’ si legge la visione di Signorini a riguardo: “La vita provinciale si assomiglia ovunque, è qualcosa che viviamo sulla nostra pelle e poi ci porteremo avanti per tutta la vita. Le persone vivono quelle realtà e ne fanno un caposaldo, un “modus vivendi” da cui poi fuggire o liberarsi diventa molto difficile”. Secondo lo scrittore, quindi, la provincia in generale è fatta di tradizioni forti, valori radicati, ma anche di una certa resistenza al cambiamento.